E’
importante che io racconti cosa è accaduto nella manifestazione di
protesta contro l’ultima aggressione omofoba a Roma; ed è importante che
io lo faccia adesso, anche se sono scosso da quanto è successo, da una
serie di eventi che mi hanno visto protagonista. Prego di poter
raccontare con obiettività quanto è accaduto. Perchè e per chi lo
faccio, sarà chiaro in seguito.
Non eravamo più di 100 persone, e forse
di meno. Il corteo, che secondo gli organizzatori si sarebbe dovuto
svolgere camminando sui marciapiedi, in modo da non dare fastidio, è
partito dal Coming Out, quindi ha fatto via del Fagutale (quella della
casa di Scajola) e si è fermato alla fine della stessa, prima della
piazzetta che dà su via San Francesco di Paola, nel punto dove è
avvenuta l’aggressione.
Lì gli organizzatori hanno fatto
presente che non era possibile proseguire fino al bar che si era
rifiutato di prestare soccorso, perchè loro non volevano essere
considerati responsabili di nessun gesto di violenza. Alla fine si è
deciso salomonicamente di sciogliere la manifestazione lì e di
raggiungere comunque questo bar, dove chi voleva sarebbe andato lì a
dare un fazzolettino, ringraziando sarcasticamente per la solidarietà.
Molti dei presenti si sono procurati un fazzolettino.
Siamo arrivati al bar, che bar non era,
bensì la gelateria di Via Cavour che sta tra appunto via San Francesco
di Paola (dove c’è il ristorante indiano che fa angolo) e la fermata
della metro.
Lì, sono stati dati i fazzolettini, e
c’è stato un coro di scherno, al grido di vergogna vergogna.
A quel punto è piombato il presidente
dell’Arcigay di Roma, Fabrizio Marrazzo, che si è messo ad urlare “Ma
che fate, ma che ne sapete? Non è questo il bar! Adesso chiedete scusa!
Dovete chiedere scusa”
La cosa ci ha raggelato. A quel punto è
cominciata una discussione, a cui Marrazzo non partecipava, in cui c’era
chi sosteneva che fosse quello il bar, e chi diceva di no. Allora io,
parlando a voce un po’ alta, ho fatto presente che il bar era un altro,
perchè effettivamente poco più su, proprio in corrispondenza della
fermata della metro, c’è un bar bar, e non una gelateria, quindi era
probabilmente quello il bar incriminato.
Mi si è così avvicinato un ragazzo, di
poco più di venti anni, che mi ha detto che invece era quello il posto.
Gli ho chiesto cosa ne sapesse, e mi ha detto: “Perchè io ci ho
accompagnato qui Simone”.
In effetti, avrei potuto anche non
chiedergli perchè lo sapesse. Mi sarebbe bastato vedere i suoi occhi.
Gli occhi di un ragazzo di poco più di venti anni, neri neri e tristi,
che soccorre un suo amico pestato a sangue, che lo porta in una
gelateria in cui non gli prestano soccorso, e che ora, nella
manifestazione di solidarietà, vede il presidente dell’Arcigay, quindi
anche il suo presidente, dire che non è quello il posto.
Così, io mi sposto verso lo spiazzo
immediatamente antistante il locale, e dico al gruppetto che discute che
il locale è proprio quello; quando mi chiedono cosa ne sappia, gli
indico l’amico di Simone, identificandolo appunto come tale.
Per me sarebbe finita lì, e me ne vado
raggiungendo il bordo dell’assembramento, giusto dicendo che a certa
gente piace proprio prenderlo in culo a prescindere, quando sulla mia
strada incrocio Fabrizio Marrazzo.
A quel punto gli dico (dico? diciamo
parlo a voce alta): “Bravo, complimenti! Fai proprio bene il presidente
dell’Arcigay! Complimenti! Continua così! Ma non ti vergogni?”
Lui nemmeno credo capisca di cosa parlo,
e allora ancora più incazzato “Il bar è questo!”
Lui mi chiede cosa ne sappia io, e io
sbraitando “Me l’ha detto l’amico di Simone! Quello che l’ha
accompagnato qui mentre sanguinava!” Diciamo che da questo momento il
mio tono di voce si sentiva abbastanza in giro per tutta via Cavour.
Marrazzo mi fa: “Ma ci saranno gli
interrogatori per stabilire come sono andate le cose!”
A questo punto io urlo: “Gli
interrogatori? Interrogatori? Cazzo c’entrano? Questa è una
manifestazione politica! Cosa ti serve sapere di più, che quello che ti
dice l’amico della vittima? Vergognati!”
Marrazzo si fa piccolo piccolo, e non sa
cosa dire, allora si avvicina un suo amico, che con un tono smorfioso
(certa gente ha un senso del ridicolo tutto suo) mi dice: “Non ti
permettere sai? Come ti permetti?”
E io “Come mi permetto? Come mi
permetto? E che pensi che sono venuto qua a fare la bella statuina?
Mavatteneaffanculo a te e all’amico tuo! Brutti stronzi!”
Siccome ero molto alterato, ho poi
interrotto la discussione. Ho salutato i presenti, e quando me ne sono
andato ho incrociato nuovamente l’amico di Simone.
Gli ho detto grazie per quello che ha
fatto, e gli ho augurato una pronta guarigione per Simone.
Io, per me, non cerco proprio niente.
Non avrei fatto tutta questa discussione feroce se non ci fosse stata
una ulteriore e palese ingiustizia che si stava compiendo sotto i miei
occhi, un atto di prepotenza da parte di uno, Fabrizio Marrazzo, che per
il ruolo che ha dovrebbe innanzitutto difendere i gay, piuttosto che
chiederci di scusarci.
Invece Marrazzo ha voluto spacciarsi per
uno che sa tenere la folla, ha cercato di accreditarsi come uno tramite
cui bisogna passare se si vuole evitare il peggio, per cui intanto ci
ha chiesto di chiedere scusa per una contestazione, peraltro civilissima
e di breve durata, che invece era nel giusto.
Marrazzo non si è preoccupato di
scoprire come fossero andate le cose. Si è messo invece a farfugliare di
interrogatori, come un questurino di cui il mondo gay non ha
decisamente bisogno. Io posso pensare al senso di smarrimento e di
scoramento che l’amico di Simone ha provato quando ha visto questo
spettacolo sotto i suoi occhi. Ma come, questi dovrebbero essere qui per
Simone, e invece fanno questa politica di bassissima lega sulle carni
del mio amico?
Ecco, questo mi ha fatto imbestialire
oltre ogni limite. Non so nemmeno come ti chiami, amico di Simone, ma
quello che ho visto nei tuoi occhi mi ha portato a mettermi in mezzo. E
se ripenso ai tuoi occhi, e se immagino quello che hanno visto pochi
giorni fa proprio davanti a quella gelateria, non mi vergogno di dire
che sono tornato a casa tremante. Perchè ringraziando il cielo provo
ancora delle emozioni e non vivo e non voglio vivere alle spalle e sul
dolore di nessuno.
Credo che voi che mi leggete, sappiate
quanto io poco ami le luci della ribalta. Però credo che esista un
momento in cui il dovere civile fa premio su tutto. Per cui vi prego, di
dare la massima diffusione che potete a questo resoconto, che se pecca
di qualcosa è solo per le emozioni che mi attraversano, non per calcoli
politici.
Non cerco niente, manco delle hit per il
blog, per cui riportatelo come volete, purchè sia in forma integrale:
metteci un link, copiate il testo, mettetelo su Facebook (io non ho
Facebook!), su Twitter o per mail, leggetelo al telefono ai vostri amici
e chiedete a loro di fare lo stesso. Non per me, ma per quegli occhi.